Michel si racconta 1 Parte
Michel si racconta 2 Parte
Michel si racconta 3 Parte
Dalla droga e dalla depressione
verso la rinascita
Lo spirito della depressione mi perseguitava e dopo i continui pianti dal mio consulente del Sert, che avvennero il 12 settembre, un mese di massima depressione, compleanno della mia ex moglie, mio compleanno e anniversario di matrimonio, stavo davvero male e piangevo. Lui, in verità, non sapeva cosa fare con me, era disarmato e mi disse: “Michel, vuoi andare in comunità?”
Ricordo che era il 12 settembre del 2006 e risposi immediatamente di sì, una cosa che ancora adesso non riesco a capire.

Andare di nuovo in una comunità era l’ultima cosa che pensavo e soprattutto volevo. Ma il Signore rispose al mio posto, mi stava portando nella Sua casa. Era una comunità cristiana di recupero per persone emarginate con vari problemi, dalla tossicodipendenza all’alcolismo. C’erano anche persone che stavano scontando debiti con la giustizia. Era gestita da ex tossicodipendenti, anche il pastore lo era stato, e tutti conoscevano il problema e sapevano, per esperienza vissuta, l’unico modo per guarire da quel problema.
Ho sempre pensato di essere guarito quando ho trascorso il primo anno in Italia. Dopo aver terminato il servizio militare, avevo trovato un lavoro e una macchina. Pensavo di stare bene e di essere una persona normale, ma come sempre ero attratto da persone che mi assomigliavano, persone che amavano fare festa e andare in giro a bere. Avevo lasciato un problema per trovarne un altro. Sicuramente non stavo bene come pensavo di stare. Questo l’ho capito in comunità.
Sono entrato in comunità il 15 giugno con un’idea ben precisa: fare il mio percorso, disintossicarmi dal metadone che ritengo ancora il prodotto più nocivo per il fisico e il più difficile da smettere. Durante una partita di calcio, mentre ero in porta, ho visto un ragazzo che si è presentato davanti a me facendo due finte e alla terza ho sentito il rumore di una gamba che si è spezzata. Si era rotta la tibia senza che nessuno lo toccasse. Aveva fatto l’astinenza dal metadone, ma le sue ossa erano fragili a causa della dannosità del prodotto.
La mia astinenza prima di poter assistere a un culto è durata due mesi, durante i quali dormivo solo un’ora a notte. L’astinenza a secco consisteva in passeggiate, massaggi e camomilla, mentre l’ora di dormiveglia era dovuta alla stanchezza delle passeggiate che mi aiutavano molto.
Iniziai a partecipare alle riunioni mattutine, dove un responsabile condivideva un pensiero che sentiva nel suo cuore. Poi pregavamo insieme, ognuno al suo posto assegnato. All’inizio, ero confinato al mercatino dell’usato, a disposizione di un ragazzo che già stava bene e aveva già svolto un percorso sia fisiologico che spirituale verso la liberazione. Molte persone visitavano il mercatino, ma a me era stato vietato parlare con loro per evitare eventuali trame malvagie e per evitare che potessi mettermi d’accordo con i visitatori per eventuali fughe. Era una regola per i nuovi arrivati. Ogni giorno, avevamo sempre “un’ombra” al nostro fianco con cui passavamo la giornata, un ragazzo che aveva già superato le sue dipendenze.

I responsabili affiancavano i nuovi arrivati per aiutarli in un percorso spirituale basato sui principi di Gesù stavano crescendo in loro. Questi affiancamenti avvenivano di domenica alle 22, quando tutti erano a letto. Dopo aver pregato e ascoltato le opinioni dei responsabili con più esperienza, si decideva chi avrebbe affiancato chi.
Non ho mai passato un giorno nella comunità senza avere qualcuno che mi accompagnasse, sempre un’ombra o un compagno che dovevo accompagnare io stesso.
Mi resi subito conto che era davvero il piano del mio creatore che mi aveva portato lì. Iniziavo a desiderare di fare bene tutto ciò che mi veniva chiesto di fare. Il mio modo di parlare mancava, come quello di tutti i ragazzi che venivano dalla strada. Ricordo bene i famosi colpetti dietro la nuca che ci davano se usavamo un linguaggio volgare. Erano dei piccoli colpetti che gli esperti facevano, senza dolore, solo per ricordarci che il linguaggio era importante. Quante volte sentivo Michel chiamarmi e dirmi: “Vieni qua.” E io rispondevo: “Ma come? Cosa ho detto di male?” Lui mi rispondeva: “Hai detto questa parola”, e poi mi dava un colpetto sulla nuca. Era un modo simbolico per farci capire che le parole avevano importanza.
Le parole hanno importanza nella nostra vita è ho iniziato ad acquisire un linguaggio corretto che mi faceva stare meglio. Le parole sono il frutto dei nostri pensieri e vengono generate dall’anima e infine dallo spirito. Il rapporto con Dio stava rinnovando tutto nella mia vita. Sono stato 15 anni in questa comunità e ho collaborato con loro in tante diverse maniere.
La mia vita mi presenterà ancora diverse sorprese piacevoli e altre sicuramente sfidanti…
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